Non è possibile relegare la musica al solo “mondo della produzione sonora” o (peggio) della sola “emissione delle note” da qualche strumento.
Ascoltando le risposte immediate alla domanda “che cos’è la musica?”, si raccolgono principalmente due filoni:
- il primo legato appunto alla produzione dei suoni → un insieme di suoni; melodia; armonia; l’arte di esprimersi con i suoni; canto; e tanti altri tentativi di definizioni simili.
- il secondo legato alla comunicazione e alle emozioni → comunicare in modo diverso; espressione sentimenti; dire qualcosa al di là delle parole; emozione; e altre espressioni pittoresche che nascono più da ciò che “si è sentito dire” piuttosto (piuttosto significa invece, non oppure) che da vere riflessioni personali.
E così si finisce per buttare il mondo della musica nel cassetto delle cose di poco valore, dell’aria fritta e del superfluo.
Idem dicasi per i musicisti, persone che “vivono d’aria”, che “suonano per passione” (a proposito, leggete sul dizionario la definizione di passione, poi sappiatemi dire), gente che non sa nulla della vita reale, di ciò che è pratico; giocolieri che si divertono su un palco per due ore, pretendendo pure di essere pagati.
Nemmeno un pallida giustificazione legata alla quantità di anni di studio che servono per stare su un palcoscenico in modo appena decente serve a far pensare che forse un musicista sia una persona utile alla comunità almeno come un architetto o un banchiere.
Ma non sono qui per (auto)commiserare me e i musicisti.
No.
Perché non c’è solo la “musica”.
Se la musica riguardasse solo il mare dei suoni, allora sì che sarebbe circoscritta a sé stessa. Invece, se pensassimo a tutto ciò che contribuisce a far esistere la musica, allora ci troveremmo inevitabilmente davanti ad uno dei più estesi degli oceani.
Alle scuole medie (chiedo scusa… “secondarie di primo grado!”) incentiviamo gli alunni a “fare i collegamenti tra le varie discipline“, ma, primo, non ci sono né tempi, né risorse (né a volte preparazione sufficiente) per dare esempi concreti (→ il bambino vede = il bambino fa) e, secondo, a livello di società abbiamo ancora il pre-concetto che “le materie importanti” siano Italiano e, a seguire, Matematica.
Pensate invece se al centro ci fosse la Musica.
Esempio: studiamo un’Opera… facciamo “La serva padrona” di Pergolesi, che è “semplice”.
Possiamo studiarne il libretto (Italiano), il contesto storico (primo Settecento, tra Barocco e Illuminismo), sociale (la satira contro i poteri forti, il teatro di Goldoni, ecc…), l’area geografica. E solo con Lettere riempiremmo un bel po’ di lezioni (vogliamo “stare bassi” e dire… un mese di lezione? almeno)
Cosa comporta l’allestimento di un’Opera dal punto di vista dell’Arte? Abbiamo a che fare con la scenografia, i costumi, i dipinti, i simboli, la disposizione degli oggetti sul palco, i bozzetti, gli appunti… devo andare avanti?
[esempio: studio di bozzetti per La serva padrona]
Dal punto di vista matematico e scientifico, come funziona la fisica del suono? Cosa occorreva all’epoca per un buon ascolto? E invece con gli strumenti odierni? In che modo si risolvono i problemi acustici?
Il livello tecnologico è quello più difficile: da dove partiamo? Dalla progettazione di che cosa? delle scene? dell’illuminazione, del teatro stesso? dall’organologia (= costruzione degli strumenti musicali)? [guarda l’esempio 1, o, ancora meglio, l’esempio 2 ]
Gli esperti del didattichese chiamerebbero questa specie di traccia “Unità di apprendimento (UdA)”.
Bella. Ma non basta.
Occorre riflettere sul fatto che tutto questo esiste nella realtà.
Attorno alla musica c’è un enorme indotto economico, dato da un’insieme di conoscenze e competenze reali che vanno ben oltre la superficialità legata agli aspetti più “volatili” che ad essa si possono attribuire.
Il problema allora diventa come valorizzare questa grande risorsa culturale ed emozionale.
Qui non si parla solo di potere educativo della musica (c’è anche quello), ma di recuperare la consapevolezza che il settore della musica necessita di innumerevoli figure professionali provenienti da diversi ambiti e che coloro i quali materialmente producono musica (cioè “suonano e/o cantano”) sono solo la cosiddetta “punta dell’iceberg”.
La società, e di conseguenza anche la scuola, non sa, ad esempio, che tipo di lavoro svolga un fonico, o tecnico del suono (che all’estero chiamano con maggiore dignità sound engineer, “ingegnere del suono” *date un’occhiata a questi).
No, perché per quanto fino alla scuola media (sì, media) vada bene impartire nozioni di italiano e matematica, nessuno proietta ancora le conoscenze di base verso il mondo delle competenze.
Un’insegnante di musica, prima di essere tale, normalmente è stato, o è ancora un musicista (si spera) ed ha un sapere pratico spesso molto più ampio rispetto (mi dispiace dirlo) a molti colleghi e colleghe che affrontano le materie più importanti.
Chi è passato attraverso l’esperienza della musica in modo serio, deve per forza essere venuto a contatto con tutte le realtà sopra elencate:
certo, ci sono i sogni e le emozioni, altrimenti una persona non sarebbe nemmeno spinta a misurarsi con una fatica simile.
Ma ci sono anche problemi di natura organizzativa, economica, logistica, comunicativa, culturale, sociale e tanto altro ancora. Problemi veri, concreti, utili per lo sviluppo e il consolidamento di un reale e spendibile ventaglio di competenze.